– Un saggio giusto –
Una stanza tutta per sé: sono stata attratta da questo libro quando ho deciso di avvicinarmi alla Woolf. Devo ammettere che all’inizio della mia lettura l’ho trovato snervante. Proprio così, il libro mi innervosiva. Ho pensato che fosse dovuto al fatto che avevo sbagliato la scelta di leggerlo il lingua originale e sono andata avanti solo per una decina di pagine.
Alla fine i movimenti della protagonista nel cortile dell’università, le sue azioni intervallate da flussi di pensiero mi hanno fatto abbandonare la lettura per qualche giorno.
Chiudete a catenaccio le vostre biblioteche se volete; ma non potete mettere alcun cancello, alcun catenaccio, alcun lucchetto alla libertà del mio pensiero.
Quando ho finito l’altro romanzo che stavo leggendo (leggo sempre due libri al contempo) l’ho guardato sulla scrivania e l’ho riafferrato. L’ho finito il giorno stesso.
Sembra contraddittorio, ma c’è un momento nel saggio in cui qualcosa cambia e io, come donna, mi sono sentita chiamare in causa.
Il tema
Una stanza tutta per sé è la rielaborazione di due conferenze che Virginia Woolf tenne nel 1928 in due college femminili, sul tema le donne e il romanzo.
Dal testo traspare la cultura e la profonda conoscenza della letteratura che Virginia Woolf possedeva, la sua lucidità analitica, il suo stile e la sua capacità di coinvolgere il lettore con sapienza e provocazione.
Per tutti questi secoli le donne hanno svolto la funzione di specchi, dotati della magica e deliziosa proprietà di riflettere la figura dell’uomo a grandezza doppia del naturale.
In poche decine di pagine infatti l’autrice traccia una storia della letteratura femminile inglese che è ricchissima di spunti di riflessione. Virginia Woolf tocca un tema sensibile, che è anche una provocazione per tutti: perché prima del 1800 (ma anche dopo) la maggior parte dei romanzi e delle poesie sono state scritti da uomini?
Nel 2020 la lotta per la parità di genere è all’ordine del giorno ma a cavallo del 1900, quando lei scriveva, anche considerare la donna intellettualmente uguale all’uomo non era scontato.
Una stanza tutta per sé: Il ragionamento storico-pratico
La deduzione della Woolf porta alla luce un fatto: fino al 1700 alla donna non era mai stata data la possibilità di scrivere qualcosa, di studiare, di mettere nero su bianco una sua opinione e non soltanto per motivi ideologici, ma anche pratici.
Essendo dipendenti economicamente dal marito, avendo da ammaestrare da sole la casa e i figli, quando le donne avrebbero trovato il tempo?
Un fatto da non sottovalutare, anche se sembra banale, è la mancanza di una stanza tutta per loro.
Scrivendo in soggiorno o in qualunque altra stanza della casa, che comunque non le era riservata, la donna veniva interrotta continuamente. Anche prima di avere figli, le faccende domestiche l’avrebbero irrimediabilmente allontanata dal suo lavoro.
Se ha intenzione di scrivere romanzi, una donna deve possedere denaro e una stanza tutta per sé.
La Woolf pone poi il caso che una donna determinatissima riuscisse a portare a termine, tra un’interruzione e un’altra, un romanzo, un saggio, una raccolta poetica. Costei avrebbe dovuto combattere con un mondo maschilista e misogino che non l’avrebbe neppure presa in considerazione. Da qui la scelta – non certo piacevole – delle prime donne romanziere di farsi pubblicare con pseudonimi maschili.
Quanto è orribile il pensiero che per essere considerati bisogna fingersi qualcun altro?
E se Shakespeare fosse stata donna?
In un bellissimo inserto del saggio, la Woolf immagina cosa sarebbe successo se Shakespeare avesse avuto una sorella, Judith, col suo stesso talento e la sua stessa passione.
Cosa le sarebbe accaduto se avesse voluto scrivere e recitare anche lei, ugualmente al fratello maschio? L’autrice immagina che, mentre il fratello veniva avviato agli studi già dall’infanzia, la piccola Judith sarebbe rimasta a casa ad aiutare la madre nelle faccende. Da adolescente, mentre Shakespeare prosegue gli studi, Judith sarebbe stata data in sposa a un uomo benestante e probabilmente vecchio.
Quando Judith fosse scappata a Londra per recitare, come William, sarebbe stata considerata nell’ambiente teatrale poco meno che pazza. Probabilmente si sarebbe ritrovata incinta di un benefattore che le fa mille promesse e la storia si risolve nell’unico epilogo possibile: il suicidio di Judith.
Si uccise, una notte d’inverno, e venne sepolta a un incrocio, là dove ora si fermano gli autobus, presso Elephant and Castle.
Oltre ad essere molto probabile, questa storia truce mette in luce una realtà che molti, io per prima, non avevano considerato prima di leggere Una stanza tutta per sé. Il mondo dell’arte al femminile è nato, per forza di cose, più tardi, vittima per troppo tempo del patriarcato.
Il mondo a lei non diceva, come diceva a loro: “Scrivete, se volete; per me non fa differenza”. Il mondo diceva sghignazzando: “Scrivere? A che serve che scriviate?
Le prime donne scrittrici
Un’altra parte della storia ce lo dimostra. Le prime donne autrici inglesi sono apparse sulla scena intorno al XVII secolo e hanno un profilo comune. Sono aristocratiche (quindi autosufficienti economicamente), senza figli (quindi estranee alle responsabilità materne) e ribelli. Lo scrivo in corsivo perché non sono state ribelli davvero, semplicemente sono state donne che hanno dato sfogo alla loro passione come tanti uomini facevano. Solo che erano, appunto, donne. La società e i loro mariti le hanno relegate in case in campagna e le hanno trattate come eccentriche matte.
Dopo un interessante excursus sul bisogno dell’uomo di prevalere, attraversando le letterature ipocrite delle epoche napoleonica e fascista, la Woolf fa due riflessioni con le quali sono d’accordo.
La prima è che la letteratura femminile non deve contrapporsi a quella maschile per non commettere il suo stesso errore. Essa deve essere indipendente, autonoma, bella per i suoi contenuti e la sua personalità ma non guerriera, nel senso di forzatamente ostile a qualcosa solo perché esso è tale.
La vita, per ambedue i sessi – […] – è ardua, difficile, una lotta senza fine. Richiede un coraggio e una forza giganteschi. Più di ogni altra cosa forse, per creature dell’illusione quali noi siamo, essa richiede fiducia in se stessi.
La seconda è che la letteratura del futuro deve essere androgina. Ognuno ha dentro di sé una parte maschile e una femminile e, proprio come i grandi scrittori di tutti i tempi, entrambi i lati devono percepirsi dalle parole scritte. In tali scrittori infatti, è presente spesso una femminilità di sentimenti che non fa altro che aumentare il piacere e il valore delle opere immortali che hanno lasciato al mondo.
- Claudia Neri
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