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I miei stupidi intenti – Bernardo Zannoni – Recensione

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I miei stupidi intenti è un libro scritto da Bernardo Zannoni e pubblicato da Sellerio nel 2021. È l’esordio di questo scrittore appena venticinquenne, che col romanzo ha vinto il Premio Campiello 2022, il Bagutta Opera prima e il Premio Salerno Libro d’Europa.
Il protagonista del libro è Archy, una faina. Vive nel bosco con sua madre e i suoi fratelli, poco lontano dalla campagna, territorio umano. Dalle prime, tragiche pagine, Archy si scontrerà con la durezza della vita e con il dolore drammatico che la accompagna. Sua madre non può dar da mangiare a tutti i figli piccoli e suo padre non c’è più. È una vecchia volpe, Solomon, a salvargli la vita, ma questo non avviene nella maniera classica in cui uno si immagina: non c’è bontà, né compassione nelle azioni di Solomon, e tutto è mosso dal desiderio di prevalere, di comandare, di sottomettere. La storia di Archy è piena di solitudine, di elementi semplici che portano sia il protagonista che il lettore a un livello sovra-umano e, da certi punti di vista, sotto-umano, primordiale, animalesco. Da qui passo al prossimo paragrafo, secondo me necessario.

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Tutta la mia rabbia era sbiadita insieme allo sconforto. Il mio viaggio era diventato un ricordo leggero, una storia terribile ma antica. Stringendo i fogli nella zampa, avvertii il loro peso, era cambiato per sempre. Avevo intrappolato la mia prigione nella carta.

I miei stupidi intenti: Guida alla lettura

Lo ammetto, all’inizio della lettura de I miei stupidi intenti sono partita con l’immaginare tutti come esseri umani. Nonostante l’autore scrivesse faine, tane, zampe, zanne, io ho umanizzato ogni cosa, portando le bestie all’aspetto dell’uomo e le azioni bestiali alla compassione umana… alla giustificazione. Ho sbagliato. Bisogna leggere questo libro con un occhio introspettivo, figurandosi gli animali veri e propri come li descrive Zannoni, ma senza dimenticare che quegli animali siamo noi.
Pur restando nella foresta, da quando entriamo nella tana di Solomon gli ambienti si umanizzano: piatti, porte, finestre, libri, fogli, parole. Ma cosa sono le parole? Che cosa vuol dire leggere e scrivere per Archy, che deve solo faticare per il suo padrone notte e giorno senza tregua?
Ancora una volta, è un libro che salva la vita e allo stesso tempo la toglie. Le parole possono portarci al punto più elevato della nostra esistenza e farci sprofondare nell’abisso più profondo.
I miei stupidi intenti insegna che conoscere è un privilegio, un dono, ma anche una responsabilità, un peso.

Non era facile vivere nei ricordi. Non se stavi già vivendo qualcosa, come nella mia situazione. L’unico vantaggio di tormentarsi a quel modo fu quello di capire più a fondo i miei sentimenti. Scoprii che Louise, a parte sulle sponde di quel piccolo fiumiciattolo, per me non esisteva. Non mi chiedevo come stesse in quel momento, né se le mancassi, o se stesse soffrendo. Mi fu chiaro che il potentissimo legame fra me e lei era quell’attimo di godimento che provavamo, e dietro quello il nulla. Non so perché, ma mi sentii triste; prigioniero del sole e della notte, indifferente ai giorni.

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Dio

Un giorno Archy sente parlare di Dio, un essere misterioso che la volpe nomina quando si interroga sul destino e la natura delle cose. All’inizio Solomon non vuole condividere con la faina la sua conoscenza, non lo ritiene degno. Ma alla fine Archy scopre il significato di quel nome e Solomon gli mostra il suo segreto: il libro che contiene la sua Parola. Solomon legge ad Archy il Vecchio Testamento e gli insegna a scrivere, con lo scopo di ri-scrivere le sue memorie secondo la volontà di Dio. È così che avviene in Archy un cambiamento, un passaggio, qualcosa che potremmo definire l’essenza stessa della differenza tra uomo e animale.

Archy la faina scopre l’esistenza di un destino superiore che va oltre il presente. Scopre il sapere, il cogito che significa essere, l’essere che vuol dire superare il tempo.
Archy prende coscienza della morte, del tempo, della crudeltà della giustizia divina. Il suo “rapporto con la vita era scomparso dietro la coscienza della fine”.

“Imparai ad apprezzare la solitudine e trovare la pace con Dio. Mi fu chiaro che il mondo non odia nessuno, e se è crudele, è perché noi siamo crudeli.”

I miei stupidi intenti: il sangue

Archy, Solomon, il libro della vita, il segreto della conoscenza: tutto questo si scontra con un mondo crudele, fatto di sangue e di lotta per la sopravvivenza. Gli animali stuprano le femmine, ammazzano pur di trovare riparo dal freddo, cannibalizzano i figli, e non hanno rispetto per gli altri, abbassano la testa solo quando si rendono conto di essere più deboli.

Archy è una faina storpia e la sua unica forza è la conoscenza,  l’eredità di Solomon. Il lettore si affeziona all’animale in un modo perverso, accettando la crudeltà di Archy perché non ha scelta. Ogni cosa del mondo del bosco sembra essere crudele, i legami sono labili e nessun rapporto sembra essere sincero e disinteressato. Ogni cosa è un baratto, ogni goccia di sangue si paga con il sangue. E chi vince mangia chi perde.

“Ma non fu questo a farmi meravigliare. Tutta la mia rabbia era sbiadita insieme allo sconforto. Il mio viaggio era diventato un ricordo leggero, una storia terribile ma antica. Stringendo i fogli nella zampa, avvertii il loro peso, era cambiato per sempre. Avevo intrappolato la mia prigione nella carta. Ero di nuovo libero, e triste.”

Il miracolo

Questo libro mette in luce le contraddizioni umane con una delicatezza disarmante. I libri sono la via di fuga, e anche il nostro unico mezzo per elevarci. Ed è qui che avviene il vero miracolo del libro. Dopo tutta una serie di avventure, di abbandoni, di rinascite, Archy arriva a un punto in un altrove, al di là del fiume, al di là del bosco, dove la guerra sembra finita.

Ad un certo punto, col pelo bruciato e quasi morto annegato, c’è qualcosa dentro di lui che si spezza. Ed è da quella crepa che germoglia qualcosa. Non è l’amore, è qualcosa di più. Un moto che attraversa Camus, Orwell e Alexander Supertramp. Arrivata a questo punto del libro mi sentivo come se finalmente fosse arrivato il lieto fine. Ecco, Zannoni, dicevo, finalmente qualcosa di bello. E invece il dramma cambia forma, il dolore cambia faccia e la solitudine inesorabile prende il sopravvento.

“Mi chiesi quanto forte bisogna desiderare, per muoversi attraverso un sogno o un ricordo, come ancora faceva la lince. Scoprii che era molto facile; pensai a Gioele, e ad Anja, e a me.”

I miei stupidi intenti: conclusioni

I miei stupidi intenti è un libro bellissimo secondo me, che tocca delle corde profonde. Il racconto è ambizioso, e non sempre riesce nella sua sacralità, però nel complesso funziona a meraviglia. Le metafore e le allegorie richiedono al lettore di fermarsi a riflettere, di elaborare ciò che ha letto perché probabilmente c’è qualcosa di più tra quelle righe, che va oltre gli eventi. 

In certi momenti ho sentito come se quel qualcosa fosse soltanto dentro di me, un segreto incondivisibile, come quello che esiste nel cuore di ogni lettore nei confronti della letteratura. E se un libro è in grado di toccare queste corde e risvegliare questa intimità, secondo me ha raggiunto perfettamente il suo scopo.

“[…] Sapevo il destino di mio fratello, era chiaro anche il mio e quello di tutti. Mai avrei detto di poter morire a questo mondo. Dovendo morire, il mondo mi diceva che non era mio.”

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Chi Sono

Claudia Neri

Ho 25 anni e amo scrivere, viaggiare, mangiare e fare capoeira. Ho studiato lingue e mi occupo di comunicazione digitale ed editing letterario. Mi piace esplorare il mondo e le persone, scoprire nuovi punti di vista e amare sempre. Questo blog è il mio passaporto per l’eternità.”

“Abbi un cuore insaziabile, affamato di vita, senza paura del dolore”

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