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Pelle bianca – Racconto erotico

Quando penso a lei mi sento catapultato fuori, da un’altra parte. Ho paura di descriverla, di parlarne, perché mi sembra che così me ne sfuggirebbe un pezzetto. E invece io voglio trattenerla tutta.
Dalla prima volta che ha incrociato il mio sguardo l’ho sentita entrarmi dentro, e sapevo che non ne sarebbe più uscita. Vi è mai capitato? È come se si accendesse un fuoco, un’ossessione che non riesci a controllare e tutto svanisce a parte a lei.

All’inizio non era fisico. Non ho subito pensato a come spogliarla, a come toglierle quei vestiti uno dopo l’altro. Mi è scoppiata dentro lo stomaco come una sensazione strana. Lo sapevo da subito che era bellissima, questo sì. Ma l’erotismo è venuto dopo. È arrivato quando dopo il primo incontro ho cominciato a soffermarmi sul pensiero di lei, per trattenerne i dettagli. Aveva una tuta grigia, col cappuccio sulla testa e le cuffie nelle orecchie. Teneva in mano il telefono e altre cose che non sono riuscito a riconoscere e respirava con la bocca aperta. Fino all’ultimo scalino guardava in basso, poi sul pianerottolo ha alzato lo sguardo e ha incrociato il mio, che avevo appena chiuso la porta di casa dietro di me.

Un ciuffo di capelli scuro le ricadeva sulle sopracciglia folte ma perfette. Ha alzato la mano libera e mi ha accennato un saluto. Mi ricordo come la felpa le aderisse al seno. Adesso mi immagino ad avvicinarmi e sbatterla al muro dietro di lei, farle cadere tutte le cose da mano e baciarla. Vorrei stringerla e leccarle la bocca e anche quel ciuffo di capelli. Sento il mio corpo schiacciarsi sul suo e toccare quel seno sodo e bellissimo che nasconde.

  

È una studentessa. Abita vicino a me. Aveva le scarpe da ginnastica e i piedi piccoli. Sono rari ormai i piedi piccoli ma io li adoro. Anche mia moglie li ha così ed è uno dei motivi per cui l’ho sposata. Le scarpe della Nike bianche erano tutte sporche. La pioggia della sera prima non si era ancora asciugata e lei era andata a fare jogging con le scarpette bianche. Mi viene da ridere, perché dentro di me la prendo in giro, ma il mio pensiero si è spostato. È maturato.

Come dicevo, all’inizio si è accesa come una brace dentro di me e poi è diventata fiamma. Sono andato a lavoro e mi sono accorto che c’era qualcosa di recondito nella mia testa che mi faceva distrarre da qualsiasi cosa. Ho fatto tutto automaticamente, come sempre, eppure ho quasi mancato la fermata della metro e non sono riuscito ad ascoltare una parola durante la riunione del mio capo. Non così strano, penserete voi. Ma non pensavo a lei direttamente. È come se la mia mente la stesse formando indirettamente, e la stavo formando apposta per arrivare al momento in cui l’avrei spogliata.

La tuta grigia era larga sulle cosce e sulle gambe e si stringeva alle caviglie, sottili come il piede. Le mani erano semplici, non aveva smalto né anelli. Ho visto che portava dei piccoli orecchini dorati e rotondi alle orecchie. Adesso immagino di succhiarle i lobi così lentamente da sganciare i suoi orecchini e tenermeli tra le labbra. Aspetto che le sue mani vengano per riprenderseli e poi le lecco tutte le dita. Lei ride e mi passa la mano sulla bocca, poi finisce sulla guancia. Le dà fastidio la barba non fatta da qualche giorno ma le piace anche potermela baciare. Si avvicina e il suo naso tocca il mio, la sua bocca entra e sento la sua lingua calda e dolce intrecciarsi con la mia.
Mi toglie gli occhiali e ricalca con le dita sottili i segni che mi lasciano sul naso. Li bacia uno ad uno e poi bacia me. Il nostro sale si è mischiato dalla nostra bocca e io penso ancora a quella tuta grigia che le copre tutto il corpo.

Il suo pensiero si è palesato a pranzo. È lì che ho capito che quello che mi distraeva da qualsiasi cosa era il pensiero di lei. Ho iniziato a rivivere all’infinito quel momento come si fa con qualcosa che non si riesce a perdonarsi o a una conversazione che avremmo voluto finisse diversamente. Ho avuto come un’illuminazione e ho iniziato a vedere. Mi è andata di traverso l’acqua e ho tossito a lungo, i miei colleghi in mensa si sono preoccupati. La studentessa è diventata vivida nella mia mente e ogni cosa ha iniziato a girare intorno a lei. Il ciuffo di capelli che voglio spostarle dalla faccia per poterla baciare e poi la mano che vorrei afferrarle.

Immagino di trascinarla con me dentro casa o nel suo appartamento come se fosse la naturale conseguenza di quel saluto accennato con la mano dopo aver fatto jogging. Mi sbaglio? Forse sono pazzo.

Ho desiderato tornare a casa solo per la speranza di poterla rivedere, completamente ignaro dei suoi orari e consapevole che sono totalmente diversi dai miei. A che ora finivano i corsi all’università? Frequenta? Tornerà a casa o dovrò aspettare domani mattina? Il dubbio mi tormenta. E l’incertezza di quello che farei se la rivedessi, anche. Ma non m’importa. C’è l’immaginazione a consolarmi.

Penso di trascinarla dentro casa mia e di non dire niente. Mi toglierei gli occhiali e allenterei la cravatta. Voglio farla sedere sul mio divano, nella penombra del pomeriggio e spogliarla lentamente. Se so che è mia non ho alcuna fretta di scoprirla, anzi. Voglio assaporare con gli occhi ogni lembo di pelle di porcellana. Ha gli occhi chiari e aveva le guance arrossate dalla salita. Il naso sottile si appoggia perfettamente su una bocca rosa e un mento fine. Sembra più piccola di una ragazza universitaria, potrebbe anche avere sedici anni. E questo la rende ancora più bella.

Le sfilo le scarpe e i fantasmini bianchi e bacio i piedi infreddoliti dall’umido clima esterno. Si riscaldano un poco alla volta tra le mie mani e i miei baci. Risalgo con la bocca alla caviglia scostando il pantalone e bacio le sue ossa sporgenti. Mi sento che a ogni bacio io rinasco un poco, come se non avessi atteso altro tutta la vita.
Le sfilo i pantaloni della tuta e scopro la sua pelle bianchissima. Le cosce sono magre e dritte, le ginocchia sporgenti come i malleoli. Bacio tutto fino a che non ho più saliva in bocca e allora la cerco dalla sua.

Lei mi bacia romanticamente, con la lingua calda e rosa che sa di buono, come un dolce appena sfornato. La bacio in bocca per un tempo infinito, lei mi stringe la testa con la mano e poi mi lascia andare. Ritorno sulle sue gambe e sulle sue cosce. Ogni cosa di lei mi infuoca ma lo fa con dolcezza, con una costruzione dell’attesa del piacere che non ha nulla da invidiargli.
Risalgo fino alle mutandine azzurre che indossa e le bacio. Appoggio la testa sul suo pube morbido e sporgente e resto lì a sentirne il profumo, la consistenza, ogni cosa. Lo accarezzo e mentre lo faccio vedo che si gonfia e che il suo respiro diventa irregolare. La bacio sulla coscia e sulle mutandine ma non vado oltre. Voglio che ogni cosa di lei venga toccata prima dalla mia bocca e poi dal resto di me.
Infilo l’indice sotto il ricamo del bordino azzurro e sollevo le mutandine. Poco alla volta scorro lungo tutto il contorno e la mutandina scivola sotto le mie dita fino a metà delle sue cosce. La guardo negli occhi e lei sta osservando il percorso degli slip azzurri lungo le sue gambe, fino ai piedini, fino al pavimento. Il suo pube è glabro, ma c’è una peluria chiara e diffusa. La bacio, la bacio tantissime volte.

La mia fermata è sempre quasi vuota. Abito in periferia, ma ci metto poco a raggiungere la mia azienda o la zona universitaria, che si trovano sulla stessa linea metropolitana ma in direzioni opposte. Quando scendo penso a quante probabilità ci siano che io la rincontri sul pianerottolo o fuori al palazzo. Poche, decisamente poche. Ma quanti di voi di fronte a questa improbabilità avrebbero smesso di sperare? Fuori la stazione mi aspettano pochi passi a piedi per raggiungere casa mia. Apro il portone del palazzo e vado verso le scale, non ho nessuna intenzione di rischiare prendendo l’ascensore. Quando arrivo al terzo piano mi trattengo sull’ultimo scalino; ho salito l’ultima rampa con una lentezza patologica e per tutto il percorso ho ascoltato ogni minimo rumore che potesse venire dall’alto o dal basso. Niente. Il pianerottolo è vuoto. Ci sono quattro appartamenti. Il mio è a sinistra, il suo è a destra, e ce ne sono due al centro, a dividerci.

Non sento nulla, solo la febbrile attesa che quella porta si apra. Ma mentre compio i gesti che avrò fatto milioni di volte non succede nulla. Infilo la chiave nella toppa, giro e la porta si apre con un cigolio. Non mi sono mai mosso con tanta lentezza in vita mia. Per un’assurda fantasia spero che sia già sul divano ad aspettarmi, con la tua tuta grigia e le caviglie bianche sottili.
Le bacio il pube, le assaporo la pelle bianca e morbida e quando la mia lingua tocca le sue labbra, sento il primo sussulto e gemito di tutto il suo corpo.

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Chi Sono

Claudia Neri

Ho 25 anni e amo scrivere, viaggiare, mangiare e fare capoeira. Ho studiato lingue e mi occupo di comunicazione digitale ed editing letterario. Mi piace esplorare il mondo e le persone, scoprire nuovi punti di vista e amare sempre. Questo blog è il mio passaporto per l’eternità.”

“Abbi un cuore insaziabile, affamato di vita, senza paura del dolore”

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