– È davvero un fenomeno letterario? –
L’amica geniale è un romanzo in quattro tomi scritto da Elena Ferrante e pubblicato da E/O Edizioni. La storia non si interrompe mai e non possiamo staccare i quattro capitoli della vita tormentata e confusa di due amiche napoletane, nate nella povertà e troppo intelligenti per sopportarla.
Quando si è al mondo da poco è difficile capire quali sono i disastri all’origine del nostro sentimento del disastro, forse non se ne sente nemmeno la necessità. I grandi, in attesa di domani, si muovono in un presente dietro al quale c’è ieri o l’altro ieri o al massimo la settimana scorsa: al resto non vogliono pensare. I piccoli non sanno il significato di ieri, dell’altro ieri, e nemmeno di domani, tutto è questo, ora.
Recensire un romanzo così lungo e ricco non è facile per me, per questo dividerò le mie considerazioni in paragrafi così da mettere ordine nel turbine di sentimenti che L’amica geniale lascia nel lettore.
L’amica geniale: Il linguaggio
L’amica geniale si fa leggere. I capitoli scorrono sotto gli occhi nell’attesa che si arrivi al prossimo evento epocale, spiazzante, smarginante, per usare un termine della scrittrice. Il romanzo sembra essere stato scritto per diventare una sceneggiatura. Lunghi periodi della vita di Elena Greco – la protagonista e voce narrante – vengono raccontati con poche parole per culminare nell’evento più rilevante di quel pezzo di vita con dialoghi forti, linguaggio scurrile e gesti memorabili.
Accanto agli eventi ci sono lunghe pagine con le riflessioni di Elena. La scrittrice conduce il lettore esattamente dove vuole che vada e, anche se talvolta è troppo prolissa e annoia, alla fine le parole e le opinioni della narratrice prendono forma e convogliano nuovamente in un evento drastico e carico di mille significati.
Il napoletano la fa da padrone. Essendo ambientato in un rione poverissimo i personaggi parlano dialetto e pochissime volte si esprimono in italiano – quando succede viene specificato.
Il napoletano è una lingua dura, particolarmente antipatica, sa essere dolce solo nelle canzoni e ne L’amica geniale nessuno canta molto. È per questo che alla durezza dei comportamenti si accompagna anche la forza aggressiva del dialetto, che completa l’atmosfera.
Il contesto
Napoli anni ’50 fino ai giorni nostri. Questo è il lasso di tempo in cui vivono Elena e Lila, in cui si scontrano con un rione ignorante, povero e dominato dalla camorra. Le famiglie hanno difficoltà a nutrire la prole numerosa, dopo le scuole elementari si va a lavorare e tutti i soldi vanno a mamma e papà.
Non ho nostalgia della nostra infanzia, è piena di violenza. Ci succedeva di tutto, in casa e fuori, ma non ricordo di aver mai pensato che la vita che c’era capitata fosse particolarmente brutta. La vita era così e basta, crescevamo con l’obbligo di renderla difficile agli altri prima che gli altri la rendessero difficile a noi.
Il rione è comandato da una famiglia di usurai, i Carracci, che si sono fatti i soldi sulle spalle degli altri durante la guerra, i quali verranno sostituiti dai Solara, molto più appariscenti, vanitosi e crudeli. Non c’è via di scampo, o stai con loro, subisci le ingiustizie e vivi sereno nella tua omertà, oppure ti ribelli e a quel punto o vai via o fai una brutta fine. Oggi la storia non è cambiata molto e anche ne L’amica geniale i Solara portano ricchezza al rione, creano lavoro, fanno favori in cambio di fedeltà.
La mentalità ignorante del popolo (la plebe, come dice la maestra Oliviero) è anche violenta e soffocante. I bambini vengono continuamente picchiati, insultati e maltrattati. Le donne sono il capro espiatorio dei mariti insoddisfatti e stanchi, buone solo alle faccende domestiche e guai se lavorano dopo il matrimonio. Elena sente molto questa rabbia inspiegabile degli adulti – soprattutto delle donne – e non la comprende. Da bambina si immagina che di notte dalle fogne escano degli insetti che entrano nei corpi delle madri del rione e che le fanno svegliare incazzate.
Il secondo contesto
Nel lasso di tempo molto lungo dagli anni ’50 fino agli anni 2000 Elena Ferrante ha collocato bene le vite private dei protagonisti in mezzo agli eventi storici, dalle Brigate rosse al terremoto dell’80, fino alle Torri gemelle. I personaggi del libro sono profondi, mai banali e se sei napoletano ci inquadri anche degli stereotipi comuni quanto veri. Ognuno ha un ruolo nella storia di Elena e Lila ma anche un ruolo storico tra fascisti, comunisti, politici corrotti e sporchi giochi di potere.
L’amica geniale: La protagonista Elena
Elena ha la possibilità di studiare e riesce a fuggire dal rione che tanto odia. Grazie alle insistenze della maestra Oliviero e non senza difficoltà va al liceo e pure all’università, studia a Pisa e alla fine si sposa con un uomo di buona e ricca famiglia, che però non ama.
Tutta la sua storia di donna, di moglie, madre e scrittrice non si stacca da quella della sua amica Lila, che resta al rione e che rappresenta il filo che la unisce a quella realtà così cruda che nella Pisa bene tra professori e movimenti femministi non esiste.
Non ero capace di affidarmi a sentimenti veri. Non sapevo farmi trascinare oltre i limiti. Non possedevo quella potenza emotiva che aveva spinto Lila a fare di tutto per godersi quella giornata e quella nottata. Restavo indietro, in attesa. Lei invece si prendeva le cose, le voleva davvero, se ne appassionava, giocava al tutto o niente, e non temeva il disprezzo, lo scherno, gli sputi, le mazzate.
A me Elena non sta granché simpatica. È vigliacca, insicura, e anche se denuncia lo schifo del rione napoletano alla fine non si trova un lavoro e vive sulle spalle del marito e con i soldi dei libri che scrive (pochi). Il cambiamento del personaggio nei quattro libri è evidente, ma ci sono alcune cose che restano le stesse.
- È incapace di riconoscere e affrontare i suoi sentimenti, tant’è che sposa un uomo che non ama, fa un figlio con un altro, non affronta mai i soprusi del rione come immagina fantasticando.
- È invidiosa di Lila. Nel continuo gioco di primato tra le due, alla fine si può dire che Elena si sente sempre plasmata dall’amica in tutto, come se nel mondo non ci fosse niente di suo, neppure le figlie.
- Non pensa al futuro. Elena, secondo me, rimane con una mentalità un po’ adolescente anche da adulta. I giochi di seduzione, i comizi politici, le brigate rosse, la lotta comunista, sembra che in lei niente sia permanente. Forse solo Lila lo è.
L’amica geniale: Lila
Lila è una bambina aggressiva, sempre sulla difensiva, combattiva e con una personalità disarmante, ed è bellissima. Cresce in una famiglia di scarpari, con il fratello mezzo scemo e il padre violentissimo. È così intelligente che studia latino e greco da sola ed è una di quelle persone che se avessero i mezzi diventerebbero dei geni di successo, o degli artisti sconsolati.
Lila è precoce in tutto, anche nel matrimonio e presto viene ingannata proprio dai giochi di quella malavita che tanto odia e a cui – letteralmente – sputa in faccia. Il suo destino non è felice e Lila non lascerà mai Napoli, anzi è terrorizzata dall’idea di uscire da quell’ambiente che da sempre manovra e controlla coi suoi fili.
Dopo una vita tra alti e bassi e sempre tormentata, fonderà addirittura una sua azienda di calcolatori, specializzatasi in informatica da autodidatta.
Attenzione allo spoiler.
C’è una cosa che non mi è piaciuta del romanzo. L’unica ragione di felicità di Lila (la luce in fondo a un tunnel di disperazione) le viene strappata senza alcun senso né motivata dalla storia, il che mi è parsa una forzatura. Far scomparire la figlia Tina di quattro anni e concludere il romanzo (quasi) così mi è parso un finale troppo blando per una storia così forte.
Quanto pesa un corpo che è stato attraversato dalla morte. La vita è leggera, non bisogna permettere a nessuno di renderla greve.
Conclusioni
È un fenomeno letterario? Non lo so. È bello? Sì. L’amica geniale è un romanzo vero, crudo, che mette a nudo una realtà di Napoli che forse non tutti conoscono. C’è ignoranza e violenza dappertutto ma il modo in cui questo s’intreccia nella cultura partenopea e calpesta ogni libertà e diritto è unico.
Oltre a crederci sempre nel giusto, come i siciliani del Gattopardo, noi napoletani abbiamo la tendenza al pregiudizio verso tutti: quello là è un poco di buono, quello è figlio di scarpari ma che lo frequenti a fare, quelli del nord sono ricchi e ci sfruttano, se avessimo avuto la possibilità… eccetera.
Ci piace fantasticare ma invece di pensare a come migliorare ci crogioliamo nell’idea che non è nostra responsabilità se stiamo dove stiamo e che ormai è andata così.
- Claudia Neri
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