I suoi occhi mi scorrono addosso come artigli, sento di non avere possibilità di fuga da quelle iridi che stanno per diventare mani. La sua sete mi rincorre.
Sembriamo condannati ad amarci così, con una foga animale, che si espande nel tempo che stiamo lontani, per esplodere quando ci rivediamo.
Lo sappiamo che questo è un tipo di amore che ha poco spazio nelle nostre vite. Sappiamo che questo è un tipo di amore che non significa fare la spesa per due, vestiti da stirare, spazzolini nello stesso bicchiere… sappiamo che questo amore è foga indissolubile che va molto oltre ogni cosa terrena e che, come sempre in questi casi, non sa tradursi in costanza.
Lui è coi suoi amici, io coi miei. Io conosco i suoi, mentre lui ignora i nomi delle persone che mi accompagnano. Come al solito, lui è quello con le radici stabili ma senza rami, io sono quella piena di rami con radici sottili.
I suoi occhi mi spogliano. Mi sento come la cannuccia nella sua bocca mentre succhia quel drink che io vorrei fossero le mie labbra, le mie cosce, il mio tutto.
Ho un vestito nero, corto e non porto il reggiseno. Lo vedo fissarmi i capezzoli turgidi e sorridere. Io abbasso la testa e sorrido di rimando, mi lecco le labbra e alzo un sopracciglio.
Stiamo entrambi conversando e ridendo con gli altri mentre in realtà pensiamo a come concludere la serata tra le mie cosce. Chiedo una sigaretta a una mia amica che mi guarda stranita – sa che non fumo più -, ma poi me la dà. Dico che vado a fumare e fare una telefonata. Gli passo davanti senza guardarlo mentre guadagno l’uscita dal locale.
Nemmeno il tempo di fare il primo tiro ed è davanti a me. Ci siamo già scambiati i convenevoli all’inizio della serata e un’ora di occhiate sono bastate a capire. I tavoli sono disposti alla rinfusa insieme agli sgabelli, c’è una siepe e un muro di piante rampicanti. Lui appoggia il bicchiere su un tavolino, io faccio lo stesso. Espiro il fumo e lui mi prende la mano. Accanto al locale dove siamo c’è un bar chiuso, con uno spazio buio, la tenda che di giorno ripara dal sole che ora ripara dalla luce dei lampioni. Mi spinge nell’angolo. Sentiamo la musica.
Mi bacia come se non avesse fatto altro tutta la vita. Le nostre bocche si intrecciano meglio di come io riesca a fare con chiunque altro. Gli afferro i capelli tagliati corti e spingo la testa verso di me per sentirlo ancora più dentro. “Non smettere di succhiarmi l’anima dalla bocca”, dicono i miei gesti.
Mi alza la gonna e ci infila dentro le dita. D’istinto mi guardo intorno, ma non c’è nessuno, la strada è deserta e tutti sono nel locale affianco o in quelli dopo. Mi lascio masturbare, le sue dita mi accarezzano e mi penetrano, mi conoscono bene, sanno quello che voglio.
Quando stacca la bocca dalla mia sento un calore salirmi dal ventre fino agli occhi. Il fuoco passa dai miei ai suoi, lucidi e pieni di desiderio. La sua bocca sa di alcol e menta.
– Mojito? – chiedo. Le sue dita rallentano, il suo sguardo resta lo stesso.
– Sì. Gin tonic? –
– Come sempre. -, rispondo e sorrido.
– Posso portarti in un posto? -, le sue dita riprendono a muoversi, prima piano poi più forte. Annuisco e ansimo un “sì”. Vorrei non dovermi muovere per arrivare dove vuole andare. Vorrei che fossimo già avvinghiati e nudi dentro al letto.
Casa sua non è lontana, mi ricordo con un tuffo al cuore che non ci sono mai stata. Mi tiene per mano tutto il tempo, una strada di cinquecento metri in cui mi ha sbattuto nel muro per baciarmi e toccarmi almeno dieci volte. Tre piani, ascensore rotto, saliamo a piedi. Sull’ultimo pianerottolo c’è solo il suo appartamento. All’ultima rampa di scale gli slaccio i pantaloni e mi inginocchio davanti a lui; il sesso è caldo, durissimo, la sua mano mi spinge la testa sempre più forte e le lacrime mi scorrono dagli occhi.
Mi alzo e mentre lo faccio le scarpe si sfilano. Lui mi prende per le natiche e mi spinge contro il davanzale della finestra. Il vestito si solleva. Sbatto contro le imposte come vento durante la tempesta e lo sento entrarmi dentro tra le labbra già bagnate.
Gli stringo le braccia intorno al collo e lui mi bacia, il fuoco divampa come prima senza nessuna tregua. Il movimento violento del suo bacino mi spinge e mi fa male, e sento la sua foga di voler arrivare fino a dentro le mie viscere.
Per un attimo mi chiedo cosa staranno pensando ai piani inferiori, se ci sentono, se usciranno a controllare.
Dura un secondo, fino a che mi afferra per il culo e mi porta fino all’ultimo gradino, mi fa sedere per terra e il freddo delle mattonelle è un sollievo. Mi appoggio su un gomito e lo guardo, i capelli appiccicati alla fronte.
Con una mano glieli scosto e gli stringo il viso, la mascella contratta sotto le mie dita sembra fargli male, ma a me eccita moltissimo ogni suo muscolo teso.
Gli sfilo la maglietta, e lui appoggia il suo petto umido sul mio. Scosto il vestito, ridotto a una fascia intorno alla pancia, e mi stringo a lui. Ogni spinta mi fa sempre più male alla schiena che sfrega sul pavimento e quando vengo sento anche lui liberarsi dentro di me.
Se prima avevo dei dubbi, ora sono sicura che i nostri orgasmi sono stati sentiti, ma nessuno ha protestato.
Si accascia sopra di me e respira forte, mi faccio schiacciare dal suo peso. Non sa quanto io ami il momento in cui lo fa. Mi sembra che i nostri corpi diventino uno solo, ma senza foga, come uno scivolarsi dentro.
È uno dei modi in cui so amarlo meglio.
Ad un certo punto si solleva sulle braccia e mette i gomiti affianco alla mia testa, mi bacia e mi accarezza i capelli. Chiudo gli occhi, il freddo del pavimento in contrasto col suo corpo sudato.
– Che dici, ora vuoi entrare in casa? -.
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