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Trilogia di New York – Paul Auster – Recensione

Trilogia di New York è un libro di Paul Auster composto da tre romanzi: Città di vetro, Fantasmi e La stanza chiusa. I tre romanzi sono stati pubblicati tra il 1985 e il 1987.

“New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine: e per quanto la esplorasse, arrivando a conoscerne a fondo strade e quartieri, la città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé.”

Anche se apparentemente sono dei polizieschi perché presentano investigatori e casi, in realtà i tre racconti sono stati definiti meta-detective, in quanto non presentano alcune delle caratteristiche proprie del giallo. In particolare, non c’è una soluzione ai casi, né un finale in cui si scopre un qualsivoglia assassino o criminale.

Trama: Trilogia di New York

Città di vetro è il primo racconto dei tre, che sono scollegati tra loro per trame e protagonisti seppur con molte analogie. Come in tutte le storie ci troviamo a New York e il nostro protagonista viene coinvolto in un caso, ingaggiato come investigatore privato “per sbaglio”, pur essendo lui uno scrittore (di gialli).
Il protagonista si avventura nelle vicende della famiglia che lo ha assunto e cerca di risolvere il caso, uscendo dalla sua comfort zone e rischiando – forse – anche la vita. Questi viene così coinvolto dal caso, oltre l’inverosimile, che non riesce più a ritornare alla sua vita precedente.

“Adesso Quinn non era in nessun luogo. Non aveva niente, non sapeva niente. Non soltanto era stato rimandato alla partenza; ora si trovava prima della partenza, in un punto così antecedente alla partenza da essere peggio di qualunque arrivo immaginabile.”

Città di vetro ha un rapporto intertestuale con il Don Chisciotte di Cervantes. Non solo il protagonista Daniel Quinn condivide le sue iniziali con il cavaliere, ma quando Quinn trova lo scrittore “Paul Auster”, Auster sta scrivendo un articolo sull’autore del Don Chisciotte. “Auster” intitola il suo articolo una “lettura fantasiosa”, e in esso esamina le possibili identità di Cide Hamete Benengeli, il narratore del Don Chisciotte.

Anche nel caso del secondo racconto, intitolato appunto Fantasmi, abbiamo il caso di un investigatore fantasma. Tutti i personaggi hanno nomi di colori, che rendono la vicenda molto pittoresca. L’investigatore Blue, assunto da White (che gli si presenta con un malcelato travestimento: barba posticcia, folte sopracciglia eccetera) viene incaricato di sorvegliare un uomo, tale Black. A seguito di questi controlli deve compilare un rapporto settimanale per White il quale, ancora settimanalmente, gli farà avere un assegno. Blue ha avuto come maestro il suo ex collega Brown, ormai ritiratosi a vita privata dopo aver raggiunto l’età del pensionamento.

C’è un gioco di ruoli che renderà molto ostico il lavoro di Blue, e alla fine investigatore, investigato, carnefice e vittima si confonderanno e tutta la vicenda risulterà un po’ grottesca e incomprensibile.
Il terzo racconto è quello più breve e lineare, meno “giallo” degli altri. Qui il protagonista non fa altro che rubare la vita del suo amico d’infanzia morto. Il titolo fa riferimento all’enigma della stanza chiusa, ovvero un classico del poliziesco che si verifica quando c’è un delitto commesso all’interno di una stanza chiusa e non si comprende come l’assassino sia potuto entrare e uscire.

Trilogia di New York: spiegazione?

Non so se è giusto definire questo paragrafo spiegazione, ma sono sicura di una cosa: non si può apprezzare questo libro se non si riesce ad andare oltre la trama a cercare un significato più profondo.

«In sostanza – afferma lo stesso Auster – le tre storie sono una storia sola, ma ognuna rappresenta un diverso stadio della mia consapevolezza».

La metafora che cogliamo con le storie dei protagonisti è quella della vita dello scrittore, distaccato ed estraneo alla realtà sotto più punti di vista.
Per l’intero flusso il lettore è spiazzato e si trova in una realtà quasi onirica, priva di praticità, di concretezza.
Questa sensazione non riguarda solo gli ambienti ma anche i personaggi, in quanto anche loro vivono in questa dimensione di sogno, dove ogni cosa sembra estranea a se stessa e si distacca dalla praticità della vita.
I racconti sono tutti e tre pervasi da un’identica tensione speculativa, ci troviamo ad attendere un climax che non arriva mai eppure siamo sempre ad un limite vicinissimo al viverlo. L’eccezione maggiore a questa cosa, rispetto alla tensione narrativa, la fa Fantasmi.
New York è una città sfondo, si sente e non si sente, eppure è innegabilmente una parte fondamentale del racconto. È la città dove ci si sente tutti e nessuno, così grande e piena che la solitudine e l’alienazione.

“Questo è ciò che si chiama parlare. Credo che il termine sia questo. Quando le parole fuoriescono, volano nell’aria, vivono per un momento e muoiono. Curioso, vero?”

È una città in cui ci si sente irrimediabilmente fuori da sé stessi, simbolo della solitudine e dell’alienazione umane, luogo dove ritrovarsi e perdersi all’infinito. Questa è la città dove puoi scomparire senza che nessuno se ne accorga, dove vite muoiono, risorgono e si scompongono eppure nessuno sembra farci attenzione.
Questo aspetto nel libro è portato all’inverosimile, alle estreme conseguenze per la vita umana, all’abbandono totale, della vita e della ragione.

“La città lo lasciava sempre con la sensazione di essersi perduto. Perduto non solo nella città, ma anche dentro di sé. Ogni volta che camminava sentiva di lasciarsi alle spalle se stesso, e nel consegnarsi al movimento delle strade, riducendosi a un occhio che vede, eludeva l’obbligo di pensare; e questo, più di qualsiasi altra cosa, gli donava una scheggia di pace, un salutare vuoto interiore.”

Stile

Lo stile di Trilogia di New York è, come abbiamo già detto, quello di una detective story un po’ particolare. Non è sempre incalzante, anzi ci sono lunghi sproloqui e ragionamenti che mi hanno annoiato. È un libro particolare, che lascia un po’ di vuoto e angoscia (Claudia, ma la vuoi leggere una storia a lieto fine?).
La scrittura è chiara e semplice, seppure io odio i dialoghi non segnati da punteggiatura chiara e delimitati solo dalle virgole. Questi, tutto sommato, sono pochi, proprio perché siamo sempre dalla prospettiva di un protagonista fondamentalmente solo e solitario.

Te la sei persa? Leggi la mia ultima recensione de Il più grande uomo scimmia del Pleistocene

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Chi Sono

Claudia Neri

Ho 25 anni e amo scrivere, viaggiare, mangiare e fare capoeira. Ho studiato lingue e mi occupo di comunicazione digitale ed editing letterario. Mi piace esplorare il mondo e le persone, scoprire nuovi punti di vista e amare sempre. Questo blog è il mio passaporto per l’eternità.”

“Abbi un cuore insaziabile, affamato di vita, senza paura del dolore”

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